Una sconfinata giovinezza

Lo so, per i più attenti alle uscite al cinema dovevo guardare Noi credevamo, ma il timer non è durato abbastanza, e mi sono trovato poco più di tre ore di registrato, mentre, cosa molto insolita, il film durava 204 minuti, un record in Italia. Chissà se Rai Movie lo riproporrà in breve tempo…

Mi sbagliavo a credere che il film di Pupi Avati fosse una mezza commedia. Ancora di più sbagliavo nel volerlo far vedere ai miei amici. E’ un bel esempio di cinema sociale, perché il morbo di Alzheimer preoccupa me, ma anche tante altre persone. Prima si parlava di demenza senile, poi i termini si sono evoluti parecchio, i progressi della medicina ancora di più e spero i medicinali siano sempre al passo. Magari tra trent’anni farò un vaccino annuale contro l’Alzheimer, e ricorderò ai miei figli o nipoti che mia nonna se ne è andata così, silenziosamente, accudita come un neonato da mio zio, dopo anni di sofferenza.

Pupi Avati ha scelto però un’alta ambientazione, la solita famiglia borghese con un lui, interpretato da Fabrizio Bentivoglio, che usava il suo cervello per la professione di giornalista sportivo. La moglie non è da meno, visto che è professoressa universitaria. Me li ricordo ancora così, ognuno al suo computer, nei primi momenti del film. Lei gli ha allargato la famiglia, e c’è casualmente quello che lavora in una clinica specializzata. Ma che coincidenza!!!! Tutto il resto è abbastanza plausibile, per quel poco che ne so, ma ci vuole qualcos’altro per noi povera gente, una fiction magari, che spieghi dall’inizio la malattia, che ormai è nei pensieri di tanti, ma che pochi hanno il coraggio di discutere.

Tanto coraggio, ma rimane fuori dalla realtà (e dalla solita filmografia di Avati).

 

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