Departures

Ovvero “dipartire”, come in The departed, ma il verbo giapponese è diverso, e non si usa, forse per pudore. Okuribito è una parola che ti fa allontanare dalle persone, quelle vive, quando non c’è un lutto, e ti avvicina a quelle morte, anzi, avvicina le prime alle seconde, e tu sei un tramite. Non so quanta poesia, quanta passione e delicatezza usino veramente per un corpo, ma questo film fa veramente effetto. I primi minuti sono emozionanti, ma ancora di più la chiusura della scena, e si comprende il tono del film, non dico scanzonato come in Funeral party, ma che non si assicura di renderti seriosa la faccia. Ci sono tante cose empatiche, ma anche simpatiche, e non si riesce mai a capire dove inizia la commedia e il dramma. Il finale è da manuale, quasi un’acclamazione all’Oscar vinto a ragione, con l’impianto giusto e lo sguardo oltre confine, ma, ad esempio, la riservatezza del protagonista sul suo nuovo lavoro verso sua moglie è uno dei motivi che mi fanno propendere verso un normale caso di film notevole, almeno per le intenzioni. Io non capisco la mia avversione per il cinema orientale, ma ogni tanto ci scappa qualcosa di imperdibile, che incuriosisce più del dovuto. E passi pure che Rai 1 l’abbia mandato in prima visione un sabato notte, ormai siamo abituati ai film che iniziano alle 21.30, alle interruzioni, all’assoluta contrarietà nel promuoverli durante la giornata (oppure ne La vita in diretta ne parlano?), all’impossibilità di registrarli….

Uscito il 9/4/2010.

 

2 pensieri su “Departures

  1. Io l'ho trovato meraviglioso e commovente. Inoltre rispecchia molto bene alcune contraddizioni della cultura giapponese. Sono felice che sia piaciuto anche a te!

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