Lolita

L’avrò mai visto prima? Non ricordo assolutamente. Invece è probabile che qualche decennio fa abbia letto il romanzo, e i ricordi si confondono. Se comunque non avessi letto del film e di Kubrick, qui e qui, ma anche qui, non avessi ascoltato un podcast monco ed un’altro completissimo, ma fuorviante, beh, sarei dell’idea che saperne prima è comunque fonte di dubbi. Che fare nei prossimi giorni? Guardare prima il film poi informarmi o il contrario?

Lolita è del 1962, 537° in Top 2500. Un Drammatico, confermato da IMDB che ci aggiunge il Romance. Film.tv.it gli attribuisce il voto massimo, mentre per Mymovies non supera quello medio.

De Rochemont, uno dei primi produttori di Kubrick, gli scrisse per un vecchio debito e, dicendogli che l’unica cosa che pagava era il sesso, gli suggerì il libro di Nabokov, poi scoperto anche dal sodale Harris. Vennero considerati entrambi come gli unici che potevano portarlo sullo schermo, ma era scottante, il più venduto all’epoca dell’acquisizione dei diritti, dopo l’importazione dalla Francia, dove fu edito da una casa specializzata di genere. Il primo incaricato della sceneggiatura fu Willingham, ma la questione del finale fece arrivare addirittura a chi ha ideato Lolita, ossia Nabokov, che venne incaricato dello script. Ci potevano essere dei problemi infatti nel descrivere una “storia d’amore atipica”, come spiega Harris, l’idea di una riduzione visiva sarebbe stata del tutto errata, ma in una delle biografie si trova pure una motivazione per K.:

Era perfettamente in linea con gli interessi politici e sociali degli altri suoi film, un soggetto emarginato che si impegna appassionatamente ad agire contro l’ordine sociale.

Una dichiarazione ufficiale che coinciderebbe con certi rimpianti sul come l’avesse diretto e sulle influenze che ebbe durante la lavorazione, tutti derivanti dalle rivoluzioni del ’68. Il problema all’epoca era quindi la censura: se fosse passato sotto quelle forche caudine, anche la Warner l’avrebbe finanziato con un milione di dollari. Passò, ma per tutta la lavorazione era l’elefante nella stanza. L’età era cruciale nel passaggio da romanzo a film, quindi fu aumentata di un paio d’anni. Non poteva “esplorare”, quindi si accostarono alla metafora sessuale con astuzia e raffinatezza, con l’umorismo, anche black, che K. iniziò ad usare di lì in poi. Il regista modificò la sceneggiatura, col plauso dell’autore originale, e la scena più problematica, quella dello sguardo di Humbert alla foto di Lolita, cambiò solo per motivi più futili. Continuava comunque la discussione con la censura, ingaggiando pure uno della MPAA per anticipare i problemi, ma i cattolici si fecero sentire per bene. Alla fine ne uscì un film vietato ai minori di 18 anni in USA.

Ulteriori difficoltà vennero fuori con la scelta dell’attrice, naturalmente, e del protagonista: Laurence Olivier, nel set di Spartacus, Peter Ustinov, David Niven. Si tornò alla prima scelta comunque, James Mason, ed arrivò anche Sue Lyon. Arrivarono anche altri soldi, dall’Inghilterra, ma per ottenere ulteriori garanzie entrò Peter Sellers, sulla cresta dell’onda (o in stallo? Secondo l’altra biografia), con molti punti in comune col regista, ma senza il favore degli intellettuali. Aveva comunque 14 giorni liberi…

“Se Sellers poteva vivere in Gran Bretagna e avere una carriera internazionale, perché non avrebbe potuto farlo anche K.?” Non fu solo questo a muovere il regista. All’arrivo infatti venne accolto con favore e ammirazione, e si iniziò a girare. Sellers era fantastico, e K. gli diede altri ruoli nel film. Qui le bio divergono: fu lui o la Lyon a rendere diverso il rapporto tra il regista e gli attori? Si possono combinare le due cose: Sellers era il motore dell’improvvisazione (bellissimo il podcast di Destini incrociati, a questo riguardo), e K. diede il permesso, a partire dalla Lyon, di creare i propri personaggi. In seguito iniziò a dubitare: e se gli sceneggatori non fossero più necessari? Se un ruolo poteva partire solo dalla struttura del personaggio, ricavata dal romanzo? Sarebbe arrivato ad un compromesso. Ghezzi ipotizza che Sellers, anche per Stranamore, possa essersi ispirato al professore d’inglese di K., un shakesperiano bravissimo, che interpretava tutti i ruoli del caso e che si fece amare dal regista. Ad accompagnare Mason, la Lyon e Sellers fu Shelley Winters, un’autentica star per le difficoltà che diede, ma anche impegnata politicamente con JFK.

Ne uscì una commedia amara, che Ghezzi dice non apprezzata, anzi meno, visto l’inevitabile confronto col romanzo. E’ sempre lui che cita come tema ricorrente di K. l’ossessione. Sempre dal Castoro veniamo a sapere che su Cahiers, forse scritto da Godard, c’erano queste parole:

Lolita autorizzava dunque il peggior pessimismo. Sorpresa: è un film semplice e lucido, che mostra l’America e il suo sesso meglio di Melville e Reichenbach, e prova che K. non deve abbandonare il cinema sia la settima arte.

 

2 pensieri su “Lolita

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