Martin Scorsese – Parte III

Si riparte con un’altro post, si arriva alla fine di un ciclo e si ricomincia con Woody Allen…cinefilia facile? Direi che è ora di fare un bell’ordine su Amazon, con almeno una biografia del nostro umorista preferito.

The departed. Leggere o non leggere l’ultimo film commentato sul Castoro??? La solita solfa, la solita domanda, ma con una soluzione ed una incognita. La soluzione riguarda le infinite sottotrame che questo film possiede. No, non disperatevi appena sapete che quello dice tutto all’FBI, perché è solo la punta dell’iceberg. Ha ritmo il film, un ritmo che nemmeno Quei bravi ragazzi possedeva, e dico tutto. Ci sono troppi poliziotti? Avete dimenticato quello ammazzato poco prima del finale. Vi confondete tra le squadre? Fa niente, perché vi lascerete affascinare da Di Caprio, Damon e lui, quasi macchietta, un Jack Nicholson che si deve essere divertito parecchio nell’interpretare Frank. Uno Scorsese maturo, se ce n’era bisogno, un film che vi verrà voglia di rivedere quanto prima, almeno per capire tutto. Pensate che io l’ho visto da una poltronissima in prima fila, visione sconcertante, poi ne sono venute altre due, ma mi perdevo parecchio, tra infiltrati e capi, sotterfugi e colpi di scena. Telefonatissimi questi, perché o vi guardate Infernal affairs, e potreste immaginare come Scorsese vorrebbe rimescolare le carte, in un improbabile sequel-prequel…improbabile perché il genio non si ferma mai, anche se c’è chi ne ha scritto.

La parola a Fran Lebowitz. Ma chi è sta qua? E’ arguta, e ci ironizza sù, ma a me interessava l’altro Scorsese, quello che chiama star per film disimpegnati che lo portano a vincere l’Oscar e poi si rifugia nei documentari. Fran Lebowitz dovrebbe essere una scrittrice, quasi ferma secondo il famoso blocco, se non si considerano i libri per bambini e le conferenze. Forse lì dà il meglio, ma è qualcosa di americano, roba che qui da noi solo Diva universal ha trasmesso.

A letter to Elia. Io sul Castoro ho letto che John Cassavetes ha dato molto al regista, ma la partecipazione, l’emozione, la biografia pende tutta su Elia Kazan. Per fortuna Scorsese non si ferma al fattaccio, ne fa un ritratto che andrebbe perlomeno rivisto quando avrete almeno 2 o 3 film del regista di Fronte del porto e Un tram che si chiama desiderio, tanto per citare i più famosi, ma mi sa che ci sarà di che comprendere, perché uno così non puoi fermarti a dire che era un delatore. Ho avuto un attimo di mancamento nel finale, quando ho capito, dagli occhi del nostro, quanto era importante per lui.

George Harrison. Living in the material world. Ma sui Beatles hanno mai fatto una serie, un qualsiasi documentario BBC? Nemmeno gli inglesi avrebbero mai avuto il coraggio di dedicare oltre tre ore ad uno di loro, come ha fatto Scorsese nel terzo documentario del post, una sequenza di impegno che è forse segno di “voler fare come caxxo mi pare, tanto l’Oscar l’ho finalmente vinto”. Un monstre, 3 ore dicevo godute a spezzoni, perché gli altri miei impegni non mi permettono un film intero tutto in una volta, ma quanti contenuti. Ad un certo punto mi sono chiesto: perché All things must pass, il primo album da solista di Harrison, non è nella Top 500 di Rolling stone? E’ una bella mancanza, qualcosa che farebbe storcere il naso, se non fosse che il compianto si faceva amare anche per altro, tipo il concerto per il Bangladesh, il buddismo, l’attentato, i capelli, il ritorno ad una vita sana e modaiola, un figlio, almeno una moglie, un amico come Eric Clapton che se l’è stretto a sè, anche se Layla è nata con un bellissimo aneddoto con l’allora compagna del nostro. Fosse tutto qui: i Beatles come non li avete mai visti, come solo Scorsese vi può dire, perché McCartney e Lennon possono anche contare poco, ogni tanto, e Ringo inizia pure a starmi simpatico. Ora vado ad ascoltarmi All things must pass….

Un’alba non può durare tutto il mattino
Un temporale non può durare tutto il giorno
Sembra che il mio amore sia finito
E ti abbia lasciato senza preavviso
Ma non potrà sempre essere così grigio,
Tutte le cose devono passare
Tutto deve finire.

Hugo Cabret. Avrei dovuto guardarlo martedì, mio giorno libero, e pensavo di iniziare un bel ciclo settimanale coi film più recenti registrati, ma le cose passano…in fretta…Poteva partire anche peggio, con un ragazzino senza gli occhi azzurri, un Sasha Baron Cohen sempre più mal considerato, ma siamo lì, ed ecco che piano piano si svelano le cose, fino al finale stratosferico, scoppiettante e pirotecnico. Si, si parla di Scorsese, ma ritrae George Melies, il primo vero artefice, nella storia del cinema, degli effetti speciali. Non vi dico come ci si arriva, non me l’hanno voluto spiegare quando è uscito, quindi vi dico che il regista dell’omaggio…il secondo in pochi anni, questa volta romanzato, ha lasciato le scenografie a Dante Ferretti, ok, ma la fotografia cambia, c’è qualcosa di fiabesco, un bambino protagonista (si, è sempre di Scorsese che si parla), la cinepresa (?) si muove come non mai, e c’è quell’inquietante automa che…Direi che merita un’altra visione, perlomeno nelle parti che coinvolgono il precursore di tanti Spielberg.

La Top 2500 si ferma al 2010, ma c’è abbastanza spazio per The departed, al 307° posto.

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2 pensieri su “Martin Scorsese – Parte III

  1. The Departed devo ancora vederlo. Quanto a Hugo Cabret ero partita con grandissime aspettative ma nn mi aveva entusiasmata più di tanto, nonostante sia un'enorme dichiarazione di Marty nei confronti del Cinema.

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