Cinepanettoni, cinecocomeri, Salemme, Boldi, De Sica, femmine, maschi, etc, etc, etc.

La maratona più lunga ed estenuante che abbia mai fatto. Mi sono messo in testa di sopportare almeno 10 minuti dei seguenti film, da guardare tra oggi e domani:

Natale a Beverly Hills. 11 minuti. Perché un doppiaggio così da fame? Perché uno che parla in romanesco dovrebbe farsi capire da un’americana? E GianMarco Tognazzi insieme ad Alessandro Gassman, non sono patetici? E gli sketch non sono scritti con i piedi? Per quanto la Hunziker deve continuare a mostrare il culo?

La vita è una cosa meravigliosa. 17 minuti. Si parte dall’Africa, e chissà se ci finiscono davvero i protagonisti. Stavo per cancellarlo nel momento telefonatissimo del dvd dell’immigrato che fa vedere alla famiglia, in Senegal, le fortune che ha fatto in Italia: non dimenticheremo mai, dico mai, il momento in cui dice di aver acquistato la stessa macchina di Buana Silvio Berlusconi; ma lui è solo un cameriere, di Nancy Brilli e Gigi Proietti (che interpreta un medico, che misura la pressione a Salemme senza infilarsi lo stetoscopio all’0recchio, quindi plausibilità sotto zero). Ho avuto il coraggio di proseguire, e tra Salemme e Brignano non so chi si salva.

Sharm el Sheik – Un’estate indimenticabile. Ha fatto una brutta fine…

Benvenuti al Sud. Intero. Il remake di Giù al nord riprende pari pari quasi tutte le idee, le scene, gli sketch, però ha qualcosa di originale. Tralasciando Bisio, che mi pare molto smorzato, hanno inserito qualcosa tipo l’ingresso nella Salerno-Reggio Calabria che è tutto un programma. C’è comunque tutto dell’ambientazione campana, dal dialetto alle peculiarità enogastronomiche, dai pregiudizi ai luoghi comuni. Non è esattamente l’originale, ma noi non siamo nemmeno abituati a queste idee, che partono dalla normalità peraltro, dal confronto regionale, quindi ecco il successo. Mi sono perso il prefinale, dando un’occhiata all’applicazione di Sky su Android. Tempo perso anche quello.

Maschi contro femmine. 20 minuti? La forza e la debolezza del film è il cast, ma non perché non ci siano attori bravini, ma per i tanti personaggi. Il casino sta tutto nel coinvolgimento di troppi personaggi, che si “mescolano” tra loro come niente fosse. Certe situazioni andavano riproposte nel nostro cinema, e alcuni dialoghi funzionano; mi vedo benissimo nelle partite a Risiko o a Trivial Pursuit, non per come gioco, ma per certe situazioni imbarazzanti che si vengono a creare al tavolo. Qualcosa andava tagliato, qualcos’altro andava approfondito, mentre altre cose sono affrontate con coraggio e leggerezza. Comunque non riuscirei mai a godermelo al cinema, o almeno per due ore di durata: ad un certo punto mi sono chiesto se non stavo perdendo tempo…

A Natale mi sposo. Sono arrivato a pochi secondi prima che Enzo Salvi pronunci con la sua bella voce i caratteristici insulti alla romanesca del ristorante romano gestito da Massimo Boldi, un milanese. Non oso immaginare come inseriscono il Natale e il matrimonio. So però che c’è ancora Vincenzo Salemme, e pure Nancy Brilli, che meno la vedo meglio sto. Se dovessi dare un voto a questo e all’altro Natale del post direi che il film di Boldi si merita un – in meno. (Devo poi capire perché coinvolgere anche qui i giovanissimi…).

La banda dei Babbi Natale. Primo tempo. Non è possibile recuperare il trio di Chiedimi se sono felice, la commedia più matura di Aldo, Giovanni e Giacomo. E questo rivolgersi allo spettatore natalizio sa un pò di furbata commerciale, ma anche qui qualcosa da salvare c’è. Ad esempio due di loro ci fanno rimpiangere i tempi del circo, e Aldo ha un linguaggio piuttosto ricercato. Non riuscivo a sopportare la scena di Giovanni tra due mogli, ma alla fine non dico di aver perso tanto tempo davanti alla tv, c’è molto di peggio in giro; non posso ridurlo a salvaschermo, come dicevo a CineBlaBla qualche tempo fa. Non sopporto quelli che ormai si autodefiniscono cinepanettoni, e non c’è la volgarità dei nostri tempi. Certamente il finale è da sogno, e il film se lo sono scritti da soli, con un bel pò di idee in più rispetto alla media.

Alla fine dico che qualche scampolo del sovraesposto cinema nazionale si può salvare, specie se non è in mano ai Vanzina, se non si appella alla stagione. E magari in altri frangenti avrei preferito questi titoli ad altri, ma mai al cinema, e nel caso non avessi altre urgenze da godermi sulla poltrona. A parte le ormai antiche esagerazioni non riesco a vituperare del tutto la N.C.A.I., e Immaturi, se non siete del ’72 come me, non è molto offensivo, non ricorderete mai i luoghi comuni, le cose già viste o risapute su quelli della mia età. Da qui in poi quindi non depennerò tutte le commedie italiane…attenzione, non commedie all’italiana, una stagione che mai si ripeterà, visto che non penso ci vengano a chiedere di distribuire Benvenuti al Sud o Maschi contro femmine all’estero, e mai verranno premiati…salvo pazze smentite che vado ora a cercare…No, il film con Bisio è stato pure premiato. Lasciamo perdere, non perdiamo tempo prezioso…

Ah: Femmine contro maschi l’ho cancellato dal Myskyhd per sbaglio, al posto di Operazione sottoveste.

P.S. Che bella giornata. Venti minuti. Immaginate un Bergonzoni più stupido di Peter Sellers. Dei calembour fantomatici, con atti che vanno al di là della ragione. Non riesco ad immaginarmi Checco Zalone da serio.

Americaneide – Prima parte

E’ dal 14 dicembre che non scrivo di film. Era da quella data che ero impegnato nel più lungo, impegnativo ciclo mai affrontato, quello riguardante l’America, in oltre 100 anni di storia, dalla Guerra di Secessione per Via col vento alla guerra in Iraq e oltre. Ci sono state delle defezioni nel mio dvd-recorder, ma anche delle forse colpevoli mancanze, per i titoli che ho già visto in passato, e che magari ricordo bene, forse per le troppe volte che sono passati nei miei occhi.

Ho iniziato quindi il 14 del mese scorso con Via col vento, per il quale le considerazioni possono andare oltre alla manifesta cinefilia che lo accompagna: è un kolossal d’altri tempi, superato solo lo scorso anno da Avatar per gli incassi rivalutati, ma si capisce già così come Hollywood era indietro nella considerazione che aveva degli attori neri, o magari era solo colpa nostra se il doppiaggio fa ancora troppa paura per la pressapochezza, per l’ignoranza con cui è stato fatto; d’altronde è uscito nel ’39, ma noi ce lo siamo goduto solo molti anni più tardi.

Caratteristica del ciclo poi è il salto temporale cinematografico che comporta un’impresa del genere: dagli albori della Mecca sono passato alla fine degli anni ’80. Dopo la Guerra di secessione non si può dimenticare I cancelli del cielo, per l’integrazione degli immigrati, ma io vado oltre, e salto 50 anni con semplicità, arrivando a Reds, ovvero come venivano perlomeno considerati i comunisti negli Usa: per loro non è mai stato facile, se solo ora viene riconsiderato il Partito comunista americano, praticamente un’antitesi storica per molti, ma c’era una sparuta minoranza che purtroppo solo col Maccartismo è venuta fuori.

Qui ci stava bene anche Come eravamo, ma questo è l’unico film che non sono riuscito, tramite le schede di Filmtv, ad inserire bene nella cronologia; d’altra parte è ambientato in diversi decenni, ed è più una storia d’amore che un ritratto dell’America.

Per gli anni ’20 e ’30 mi sono affidato a Il grande Gatsby, ritratto comunque di un personaggio che si è fatto da solo, forse, quasi aristocratico, comunque inserito in un ambiente alto borghese; poi Gangster story, in cui Bonnie e Clyde combattono a forza di rapine contro la crisi del ’29, ed infine Uomini e topi, per cui se eri toccato oltre che povero non c’era tanto spazio per te, nemmeno come bracciante.

Argomento che mi ha sempre incuriosito negli ultimi anni è la 2a guerra mondiale vista da chi non la combatteva. In un siparietto di Bugsy si parla di come il personaggio, che ha inventato Las Vegas per come la conosciamo, volesse uccidere Mussolini. Lui era però un killer, e per questo non è morto quando voleva lui. Chi poi ha visto tante volte Il padrino – Parte II non può non ricordare il personaggio di Moe Green, ispirato a lui. Chissà quanti film potevano quindi essere inseriti in questo ciclo, incompleto perché ora come ora mi interessano i film che non ho mai visto troppe volte…

Altro grande salto, e siamo negli anni ’50, quelli di Bulli e pupe forse, non voglio approfondire, parole che rieccheggiano anche in I ragazzi della 56a strada, uno dei pochi film di Coppola che non avevo mai visto (grazie Studio Universal, a proposito), dove si innesta la beata e giovane innocenza nella guerra tra bande giovanili, un oscuro mito che Happy days non ha mai approfondito, visto che, prima di perdere l’innoncenza, gli americani erano quelli; anzi, sembra che ci sia del riflusso visto il ritratto ultra positivo della famiglia di Ritchie è degli anni ’70, un ritorno all’America che volevano loro…

Altro problema che si è presentato durante le visioni è quello del riconoscimento dell’effettivo periodo in cui erano ambientati: per certi, l’ho già scritto, era facile, bastava Filmtv, per altri dovevo basarmi su certi particolari inseriti, come la colonna sonora, mentre per altri avevo delle difficoltà. Bronx di De Niro ad esempio: se non era per la voce narrante non avrei saputo che è ambientato nel ’60, in cui si parla di patti necessari alla sopravvivenza. E’ l’evoluzione del potere, concepibile fin dalle band dei ragazzi di cui sopra e sviluppabile fino al decennio di Nixon, con i due film che volevo assolutamente vedere sul personaggio, ma che il mio dvd-recorder ha mancato, Frost/Nixon e Gli intrighi del potere. Magari ne parlo più avanti.

Parlavo di linea temporale difficile da individuare: L’ultimo spettacolo o L’ultima corvèe, dove inserirli? Sono storie personali, certamente non si inseriscono nell’Americaneide se non lateralmente, ma mentre il secondo l’ho visto per curiosità verso Jack Nicholson, l’altro mi è risultato ostico.

Parlare di America negli anni ’60 vuol dire parlare anche di Vietnam, sporca guerra rinnegata dalle masse, ma con colpevole ritardo dal governo. In Un mercoledì da leoni, mai visto, mea culpa, c’è spazio per il reclutamento, una delle scene più divertenti, ma l’unica che ho mai visto su quell’argomento (ovvio che tutti i giovani se svolgevano la leva dovevano finire in Asia….).

Fragole e sangue. Mito romantico del ’68, delle contestazioni pacifiste ma non solo: per me è stato un casino temporale, perché l’avevo visto per la prima volta durante l’università, quando ero un ribelle come il protagonista, ma ci sono anche due canzoni che negli stessi giorni ho riscoperto un’altra volta (Something in the air dei Thunderclap Newman) o rieccheggiata qualche tempo prima, per l’anniversario della morte di John Lennon: All we are saying… is Give peace a chance, nel finale più commovente per uno studente, anche nell’immediato.