Orizzonti di gloria

Poco prima di rivederlo ho preso in mano il Ghezzi, e…c’ho rinunciato. Fin dal suo acquisto sapevo a cosa andavo incontro, che ci sarebbero state delle incomprensioni, quindi ho saltato a piè pari quasi tutto ciò che ha scritto, comunque pensando che per i prossimi film sarebbe comunque stata una fonte utile, almeno di riflessione. Le due biografie sono utili, si completano e si differenziano tra loro, e c’è qualche riflessione critica, oltre ai fatti e alle parole dei protagonisti, ma credo che domani prenderò in mano anche il Mereghetti e Morandini, oltre a Film.tv.it. Orizzonti di gloria doveva essere un film pacifista, o perlomeno critico verso l’esercito, ma nel Castoro se ne dubita…

Paths of glory, del 1957, è un film di Guerra, forse il migliore, visto che è presente nella Top 100, di recente compilazione, in 67° posizione. E’ tratto da un romanzo del 1935 di Humprey Cobb. E’ anche un Drama, e capiamo tutti perché..nient’altro da scrivere sul genere, anzi no: Ghezzi ipotizza che il bellico sia IL genere di K. (anche nel Castoro si usa questo abbbreviativo, ma ci avevo già pensato prima, durante la lettura delle biografie): era inoltre appassionato alle guerre, e riservò attenzione alle figure dei generali nei film a venire. Dal libro di Vincent LoBrutto (ma G. amplia moltissimo il discorso), parla Kubrick:

Il soldato è un catalizzatore, perchè tutte le circostanze che si trova a dover affrontare sono cariche di appassionata intensità. Con tutto il suo orrore, la guerra è una forma di dramma puro, probabilmente perché costituisce una delle poche situazioni rimaste in cui gli uomini si alzano in piedi e si battono per quelli che credono siano i loro principi.

K. aveva già pensato di girare un film di guerra insieme a Harris, suo produttore di fiducia. Erano entrambi sotto contratto di esclusiva con la Mgm, che non voleva o poteva far girare loro Paths of glory. Avviarono quindi un progetto per lo studio, mai concluso, con Calder Willingham (colui che fece scoprire a K. l’humour nero) e nel frattempo fecero lavorare Jim Thompson, “collaboratore” a Rapina a mano armata, dato che il regista sapeva di doversi comunque appoggiare ad uno scrittore. Saputo ciò, la Mgm fece cadere l’accordo. Si fece avanti Kirk Douglas, procrastinando comunque il film, che coinvolse la United Artists. L’impazienza, mood che li accompagnava in quel periodo, li portò a Gregory Peck, ma anche lui era impegnato, quindi non riuscivarono a trovare attori disponibili. Tornò a farsi sentire Douglas, e si firmò un contratto, piuttosto impegnativo per il regista e il produttore, ma l’attore fece carico la United Artists della futura distribuzione e pure dei soldi. A Monaco, dove è stato girato, Douglas trovò una sceneggiatura rimaneggiata a fini commerciali, ma, potete non crederci, è tramite lui che Orizzonti di gloria è arrivato ai nostri occhi così com’è; per K. il tarallucci e vino che poteva essere, era il prezzo da pagare per ottenere il contratto con la United.

Ad interpretare il generale Broulard, quello che per tutto il film pare la parte buona del comando, o almeno quella ragionevole, c’era Adolphe Menjou, che aveva già lavorato con Chaplin, che poi dichiarò:

Il più grande regista che lanciò la mia carriera fu Charlie Chaplin. Stanley è il regista con il quale ho lavorato che ha il modo di dirigere più simile al suo, nel senso che l’attore ha sempre ragione e il regista ha sempre torto…Diventerà uno dei dieci registi migliori. Quando? Generalmente sono necessari tre film, quindi immagino che sarà il prossimo.

Richard Anderson era il Maggiore Saint-Auban, colui che interroga i soldati nel processo. Diede un ottimo aiuto a K., non solo per il suo ruolo. A me è rimasto impresso questo dialogo tra loro:

K. Che cosa intendi per eccitante? E’ come lavorare a Hollywood…

A. (senza gli studios a due passi, il set) era più alla mano, meno rigido, meno formale e con meno gente intorno.

Infatti il regista, forse, approfittò della situazione potè tornare alla fotografia e alle riprese, a mangiarsi altri pezzi di un film (l’operatore fu insignito del credit di direttore della fotografia, anche se ne stava lontanissimo, immagino io). Una delle sue ossessioni era l’autenticità, che portò alla costruzione di un campo di battaglia realistico, ma problematico da gestire. Inoltre, ciliegina sulla torta:

K. “Avevamo sei macchine da presa poste una dietro l’altra su un carrello, che correva parallelo all’attacco”

L’altra ossessione era la metafora di un’altra partita a scacchi con delle pedine umane.

Ci furono altri problemi con delle anatre cotte, il resto del cast e con gli innumerevoli ciak, mentre il finale, con la canzone cantata da Christiane Harlan, futura terza moglie di K., non corrispondeva a quello originale, ma il regista assicurò che decise così senza essere influenzato della ragazza. L’ideona poi, ciò per cui Ghezzi dovrebbe aver scritto parecchio, fu quella di far cantare coloro che erano già morti all’inizio del film. Con questo film K. lascia Gerald Fried, ma ci sono altre ultime cose legate alla colonna sonora.

In Europa fu trionfo, tranne in Francia e per i francesi, che non facevano una bella figura; si negoziò sulla frase introduttiva al film, che rimandava al valore della nazione, ma venne proiettato per la prima volta solo negli anni ’70. Il Cahiers scrisse che K. “si è fatto imbalsamare nel commercio intellettuale”, tanto per capirsi. Ebbe problemi anche altrove, con l’esercito americano. Non fu neanche questo fonte di guadagno.

Successivamente K. incontrò Marlon Brando, e giocarono a qualsiasi cosa invece di dedicarsi ad una sceneggiatura in cui c’era di mezzo Peckinpah e che c’entrava con Pat Garrett e Billy the Kid.

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